Agricoltura sinergica in Contrada Lusci

Edo e Kika a lavoro per fare i bancali / contradalusci.com Edo e Kika a lavoro per fare i bancali / contradalusci.com

Sognando di una vita sostenibile, così possiamo introdurre questa storia sempre di casa in Salento.
Tutto ha luogo in Contrada Lusci, nelle campagne di Seclì, un piccolo paese dell’entroterra. E oltre il luogo ci sono due protagonisti, Kika e Edo.

Sembra quasi essere scritto nel nome “Lusci”: in dialetto “lusciare” vuol dire “accarezzare” e Kika e Edo adempiono perfettamente alla missione di prendersi cura dello spazio e dell’ambiente in cui vivono. Nella loro fetta di terra vige l’autoproduzione del cibo con agricoltura sinergica e di tutto ciò che può servire per prendersi cura di loro stessi.
Il ritorno comunitario alla terra dicono essere l’unica via percorribile, il suolo non va solo sfruttato ma amato e rispettato come una madre. Dopo esperienze altrove, tra Bologna e Roma, i due giovani ragazzi sono ritornati alla terra acquisendo e praticando l’agricoltura sinergica. La loro casa di campagna dà anche ospitalità a quanti vogliano apprendere questa tecnica agricola e sperimentare i frutti dell’autoproduzione. Per loro c’è un luogo apposito “la Casa del viandante”, un luogo che, se vogliamo, è già poetico per concetto.

Ma volendone capire qualcosa in più, cerchiamo di rispondere alla domanda: cos’è un orto sinergico? Io non ne avevo idea prima di incontrare Kika e Edo. Una mattina di domenica tre amici, bellissime conoscenze relativamente nuove che ho avuto la fortuna di incrociare e con le quali conosco nuove porzioni di mondo qui al polo sud, ci avventuriamo tra le campagne di Seclì per recarci da questa coppia sinergica.

Ad accoglierci due cani giocherelloni che non intimidiscono ma rallegrano per il loro scodinzolare festoso e, di lì a poco, mi si svela una giornata illuminante in cui scopro varie cose, tra cui i termini bancale accostato all’agricoltura e orto sinergico. Si fanno chiacchierate interessanti sull’importanza di tornare alla natura, alla terra, all’ascolto di sé e dei bisogni che il nostro corpo ci comunica sempre e inequivocabilmente.

Vogliamo , però, entrare nel vivo e nella procedura di questo tipo di agricoltura. Nel loro blog i due  coltivatori sinergici, raccontano l’iter da seguire: disegnare sul terreno la forma che i due bancali devono avere (120 cm è la larghezza suggerita dalla teoria che consente di avere la parte superiore di 80 cm e i lati obliqui di 35 cm). La forma è simile a un lingotto d’oro. Una volta disegnati i due rettangoli, occorre picconare e zappare la parte interna al fine di ammorbidirla, poi si procede a formare il cumulo che viene, successivamente, livellato per pareggiare la superficie. L’anima dell’agricoltura sinergica  sta proprio nelle aiuole dove le piante crescono su un terreno perennemente morbido, dove non passino né umani nè macchine.
Si procede, poi, all’arricchimento del terreno con l’aggiunta di cenere di legna, potassio e inserendo l’impianto di irrigazione a goccia.

I bancali, orto sinergico / contradalusci.com

La fase successiva è cruciale e si chiama “pacciamatura”, ossia  la copertura del terreno con materiali organici che, col passare del tempo, si decompongono e danno nutrimento alla terra. Questa pratica è importantissima perché permette di proteggere il suolo dagli agenti atmosferici, evita la crescita di erbe spontanee, mantiene constante l’umidità del terreno e permette di innaffiare con minore frequenza.
Per Kika e Edo, “pacciamare” è come “lusciare” la terra, accarezzarla. I materiali da loro impiegati per pacciamare sono l’erba spontanea e, successivamente, la paglia.

L’ultima fase è quella della semina e la piantumazione delle piante. I due coltivatori dell’orto hanno così distribuito le piante: le leguminose al centro per fissare l’azoto nel terreno, come le fave; liliaceae ai lati come aglio alternato a lattuga in un bancale e al radicchio nell’altro; agli estremi dei bancali tagete e calendula che hanno la funzione di proteggere le altre piante dai nematofi e attrarre i sirfidi, insetti impollinatori che mangiano gli afidi. Nella parte superiore, invece, sono stati alternati vari tipi di ortaggi: pomodori e zucchine, fragole, peperoni rossi, melanzane e manunceddre, detti anche cocomeri e tipici della zona.

Cosa ha, dunque, portato i due giovani agricoltori a compiere la scelta sinergica? Si può racchiudere tutto in un’unica parola la permacultura che è una modalità per coltivare la terra ma anche un modo di concepire la vita stessa. Ne sono alla base una serie di concetti: la cura della terra e delle persone, la condivisione e lo scambio di risorse in eccesso. Si cerca in definitiva di dare nuovo valore ai sistemi naturali, a ripristinare l’equilibrio ambientale e a non danneggiarlo.
Questa pratica va in direzione opposta all’agricoltura tradizionale che utilizza parallelamente varietà vegetali geneticamente selezionate, elevate dosi di fertilizzanti e di altri prodotti agrochimici che se da un lato permettono di avere corpose produzioni agricole dall’altro hanno un costo  altissimo sulla biodiversità e sul suolo.
L’agricoltura sinergica, invece, mira alla creazione di sistemi naturali grazie alle differenti piante che crescono a stretto contatto. Questo metodo di coltivazione è elaborato da Emilia Hazelip, coltivatrice spagnola, e si fonda sul beneficio apportato in modo del tutto naturale dalle piante che creano suolo fertile  grazie a “essudati radicali”, ai residui organici rilasciati e alla loro attività chimica grazie a microrganismi, batteri, funghi e lombrichi.

Ecco, dunque, i quattro principi fondamentali dell’agricoltura sinergica: la fertilizzazione continua del suolo mediante copertura organica permanente; la coltivazione di specie annuali e di colture complementari con l’integrazione di alberi azoto-fissatori; non viene effettuata aratura perché il suolo si lavora da sé specie se gli umani ne evitano il compattamento.

I frutti della terra, Contrada Lusci / contradalusci.com

Sempre da questa esperienza ho conosciuto un’altra cosa che proprio non sapevo e che, forse, neanche immaginavo: sapevate che il lombrico è il miglior amico dell’agricoltore?
Alcune tracce su antichi papiri attesterebbero che venisse praticata la pena di morte per chi osasse esportare i lombrichi e sottrarli alle sponde del Nilo e dell’Egitto, anche i romani definivano il lombrico “l’agricoltore” per le sue doti impareggiabili nel lavorare la terra e fertilizzare il terreno.
Lui, infatti, scava gallerie che drenano e arieggiano il terreno, metabolizza e trasforma la sostanza organica in humus. Secondo recenti studi, il lombrico migliora la struttura del suolo, disinquina il terreno, elimina le sostanze dannose incapsulate nel profondo del terreno, arricchisce il terreno di azoto, potassio, calcio, ferro, fosforo e mantiene il ph neutro.
Di cosa si cibano i lombrichi per produrre l’humus? Di letame animale e qualsiasi scarto organico.

Poi, la mia visita qui in questa domenica tra le campagne salentine si è conclusa annusando i saponi fatti naturalmente da Kika e Edo: saponi naturali 100% biodegradabili a base di olio extra vergine di oliva, acqua e soda caustica.

Qui è tutto in autoproduzione e splendidamente naturale, io sono rientrata a casa arricchita dalle storie e dal percorso di questi due giovani così vogliosi di un ritorno alla terra, reale e non concettuale.

Chi è Barbara

Scrivo per diletto, la curiosità guida la mia penna oltre alla voglia di scoprire e imparare sempre cose nuove. Racconto la mia terra, il Salento, che ogni giorno svela qualcosa di bello e sorprendente. Info: Facebook | Twitter | Google+ | Tutti i post scritti