La chiesetta di san Marco in Lecce

foto tratta da www.esploriamo.com


Era console in questo periodo Giovanni Cristino e vice Console Giovanni Carissimo che la fece ricostruire in stile rinascimentale, L’interno fu decorato in oro zecchino, le pareti laterali ornate da molti quadri. Da un inventario delle suppellettili esistenti nella chiesetta alla data 10 aprile 1700 risultano: «quattro quadri grandi per guarnimento della chiesa senza cornici; un altro con la SS.ma Annunciata; un altro con l’angelo custode; un altro grande con San Marco che sta sull’altare». Da un altro inventario del 1 aprile 1612 apprendiamo che esisteva anche la statua di San Marco conservata in una bacheca sotto un baldacchino di tessuto pregiato «di raso a fiorilli». Questa statua il 25 aprile, giorno in cui si festeggiava il santo protettore di Venezia, veniva portata in processione, e nella stessa ricorrenza, e per tre giorni, si faceva una pubblica festa con luminarie e fuochi pirotecnici.
A proposito di questa festa il padre G. Barrella riporta un ritornello che i contadini del leccese solevano ripetere in occasione della festa di San Marco: «Sciamu a Santu Marcu e poi enimu, Lu ranu è ncannulatu e l’ergiu è chinu»
Tornando ai lavori effettuati in chiesetta nel 1741 furono eseguite le statue in pietra leccese dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine che servirono ad ornare l’altare (le statue non esistono più, come non esistono i quadri), ed il paliotto dell’altare, sempre in pietra leccese, a spese dei confratelli Gio: Pietro Antonio Cenotti e Giovanni Antonio Iretini. Nella medesima occasione fu riparata la «loggetta di jancole che stava cadente», e si fece un grande armadio a muro munito di sportelli per potervi riporre le suppellettili.
Sulla chiesetta vi era il piccolo campanile ora scomparso che servì da modello per la costruzione di quello della Chiesa Greca (cfr. V. E. Zacchino: «Un documento sulla costruzione della Chiesa Greca in Lecce» in «Studi Salentini», 1970, pag. 156-163).

Alla data 1 aprile 1612 risultano: «Una campanella dentro la chiesa, un altro piccolo, e la campana grande» e sempre «una campana grande al campanile» viene riportata alla data del 10 aprile 1700.
Nel corso dei secoli la cappelletta fu arricchita di suppellettili e dotata di case, magazzini, terreni da cui traeva rendite considerevoli che la confraternita reimpiegava dandole in prestito con l’interesse che variava dal 5,50 al 7,50%.
Tra le suppellettili sono notate ricche pianete in tessuti pregiati e ricamate in oro «fino», complete di stole e manipoli; camici ricamati; coperture per altare; un calice d’argento con base in rame sbalzata ed in fine «un calice d’argento e sua patena indorata, cossi con sua busta, fatto in Napoli, e intorno il scritto con queste parole: VENETA CONFRATERNITA LARGITATE ANNO DOMINI 1706» (costò ducati 126, 47).
Nel marzo 1706 furono fatti molti lavori per abbellire la Chiesetta tra cui dorature in oro zecchino in tutti i fregi, ripulitura e doratura dei candelieri in legno, restauro del crocifisso in legno e l’incisione su tutte le suppellettili dell’emblema di Venezia: il Leone di San Marco.
Dopo essere stata sede della Confraternita di San Marco sino agli inizi della seconda metà dell’800, e dal 1877 della Congregazione del Cuore di Maria (sino al 1902 vi si venerò sempre San Marco), la chiesetta rischiò nel 1898, epoca in cui era sindaco Pellegrino, di essere demolita. Sia il Sindaco di Venezia, conte Grimani, che l’on. Pompeo Molmenti si interessarono della sorte della chiesetta esprimendo voti perché fosse salvata; d’altra parte nello stesso periodo (luglio 1897) girava un foglio con poche firme con cui si chiedeva l’abbattimento del monumento per allargare piazza S. Oronzo. Mentre sembrava che la battaglia fosse stata vinta ed erano già iniziati i lavori di restauro il 5 maggio 1898 arrivò da Roma l’ordinanza di demolizione.

Cosimo De Giorgi si dimise da Soprintendente ai Monumenti e Scavi di Terra d’Otranto per protesta; il Sindaco Pellegrino non si affrettò a fare eseguire l’ordinanza ma si premurò di scrivere a Roma chiedendo di soprassedere. Per fortuna ci fu un ripensamento ed il monumento, restaurato alla meglio, continuò ad abbellire la piazza più bella e centrale di Lecce.
Salvata dalla demolizione, agli inizi del ‘900 era ormai un rudere, con le parti ornamentali corrose e con uno dei portali deturpato da un incendio che per fortuna era stato domato prima che arrecasse altri danni.
Nel 1918 alcuni artisti veneti residenti in Lecce, tra i quali l’ing. cav. De Luigi, direttore della Scuola Industriale di Lecce. Questi artisti offrirono gratuitamente la loro opera per il restauro, chiedendo solo il contributo della pietra leccese da lavorare. Dal Commissario Prefettizio Lozzi la proposta fu accettata, ma come al solito non si fece nulla. L’unico che si mosse a far qualcosa fu l’allora direttore del Museo Civico, allogato nei locali del Sedile e quindi adiacente alla Chiesetta, E. Selvaggi, che si premurò a far rimuovere un vespasiano che addossato al muro posteriore della Chiesetta, ne minava le fondamenta con le infliltrazioni delle acque di scarico. Lo stesso Selvaggi avanzò la proposta di sistemare nella Chiesetta restaurata la Biblioteca Comunale che era infelicemente relegata in uno stambugio oscuro ed umido, infestato dai colombi che tranquillamente vi nidificavano indisturbati.
Ormai si rendeva necessario ed urgente un restauro che le ridonasse l’antico splendore e finalmente si potè leggere sul n° 463 de «II Giornale del Popolo» del 13 gennaio 1930, che era stato accordato un contributo per il restauro della chiesetta per interessamento della «Brigata degli Amici dei Monumenti», e del Principe Sebastiano Apostolico Orsini-Ducas, suo Presidente.

Purtroppo non si poterono restaurare i due portali in quanto dei fregi di cui erano ornati era rimasto ben poco perché erosi dal tempo e dalla incuria degli uomini, ma a questo si ovviò riproducendo in calchi il portale della chiesetta di San Sebastiano (costruita da Riccardi nel 1520) e da questi si potè ricavare il modello delle due colonne laterali e del fregio.
Oggi quindi non si ammira il portale originale della Chiesetta di San Marco ma la riproduzione di quello di San Sebastiano, che corroso non è più visibile.
Per completare l’opera anche una delle porte d’ingresso fu rifatta in abete veneziano, il cui legname, con un procedimento particolare, assume la stessa patina degli antichi infissi (oggi essi sono deturpati da una tinteggiatura ad olio verde scuro).
Oggi questa chiesetta, sconsacrata, ospita un’Associazione di Combattenti che in un certo qual modo, almeno per l’interno, ne ha una certa cura.
Per quanto riguarda le due facciate esterne, avrebbero bisogno di restauro, ma non siamo ai tempi del Principe Apostolico e del Sindaco Pellegrino, quando passavano appena venti giorni tra una delibera di restauro e gli inizi dei lavorii.