Gli ulivi del Salento

“Ne ho visti di ulivi strani in vita mia, ma quelli di queste parti hanno forme fuori da qualsiasi logica progettuale, come se la natura li avesse affidati a un artista strambo che con le sue sculture vuole esprimere solo stupore. Gli ulivi sembrano l’istantanea di un movimento convulsivo. Alberi autolesionisti che si squarciano il ventre per creare caverne in cui vivono animali, insetti e folletti dai cappelli rossi (…)”.

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Scrive così, nel suo “Salento fuoco e fumo” (edito da Laterza, 2012), Nandu Popu, celebre voce e penna (anche autore dei testi delle canzoni) dei “Sud Sound System”, gruppo salentino di musica raggamuffin. La corteccia contorta degli alberi-simbolo del Salento lo impressiona, a tal punto che non sarebbe parso strano se avesse deciso di chiudere con l’ultimo verso de “L’infinito” leopardiano: “e il naufragar m’è dolce in questo mare” della fantasia, i cui ingranaggi sono azionati proprio da quella vista.

A Mino De Santis (cantautore salentino il cui nome è arrivato fino in Rai, con un’intervista al Tg2), invece, piace immaginare, “fingersi nel pensiero” (parafrasando un altro verso leopardiano, “io nel pensier mi fingo”), che l'”arbulu te ulie” (l’albero di olive), anche titolo di un suo brano, abbia una voce con cui poter raccontare di amori passati, delle fatiche dei contadini, delle ingiustizie dei padroni.

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Gli ulivi, dunque, nella loro veneranda età, sembrano averne viste di tutti i colori, ma non cambia mai quello delle loro foglie, il che a qualcuno parve rassicurante. Il poeta ottocentesco Giuseppe Ceva Grimaldi, infatti, nelle sue composizioni amava mettere in risalto la metafora che fa capolino dietro quella loro chioma intatta in ogni stagione: “l’ulivo (…) simbolo della pace, sempre verde, / anche quando gli altri alberi perdono l’onore delle loro fronde, / ci consola e ci assicura, che la natura vive ancora…” (1818).

La corteccia artisticamente contorta, la loro saggezza, le fronde sempre vispe e mai bisognose di un “restauro”: gli ulivi salentini fanno colpo, anzi sono un colpo all’anima. Se così è, però, lo devono anche al contesto che li ospita. La terra rossa, le rocce calcaree, i muretti a secco, i dolmen, le “pajare” (tipiche abitazioni trulliformi di campagna), e poi la “pellicola” del silenzio intorno, bucherellata solo dai raggi del sole, degli “habitués” del Salento, suoi assidui frequentatori in ogni stagione: costituiscono l’habitat ideale in cui i maestosi alberi possono crescere e dare il meglio di sé.

Ulivi del Salento

Non parole, ma numeri. Mimmo Ciccarese (su http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/03/21/ulivi-monumentali-patrimonio-dellumanita-e-diritto-alla-tutela/) informa: “la Puglia, tra tutte le regioni d’Italia, ha il più rilevante patrimonio olivicolo. Oltre 350.000 ettari di superficie agricola sono coltivati a ulivo (pari al 25% della superficie agricola utile regionale); di tal estensione, il Salento leccese conserva circa 84.000 ettari di oliveti, pari a circa dieci milioni di piante. Il 30% di queste piante sono piante di età ultrasecolare”.

Si intuisce, dunque, perché gli ulivi del Salento e della Puglia siano stati riconosciuti “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco. Lo sono stati sempre, a dire il vero, fin dall’antichità, lungo un filo rosso che è giunto a noi. Secondo una leggenda, infatti, sarebbero stati i Greci ad introdurre nella nostra terra la monumentale pianta (per approfondire, Rina Durante, “L’oro del Salento”, Besa editrice, 2005, pp. 18-21).

Ulivi del Salento

È noto a tutti che l’ulivo fosse sacro alla dea Atena. Si narra che, a quel tempo, si svolse una sfida tra Atena e Poseidone per il controllo su Atene. L’avrebbe spuntata chi avesse fatto alla città il dono di maggiore utilità, e fu giudicato tale l’ulivo offerto dalla dea e non l’acqua marina fatta sgorgare dal dio. Da allora, sull’Acropoli si coltivò un oliveto considerato sacro.

Gli ulivi sono “radicati” anche nella Bibbia, di ulivi erano ricche anche la Terra Promessa e la Palestina. Nella religione cristiana, è la pianta della pace e quella del saluto a Cristo, al suo ingresso a Gerusalemme.

Ulivi del Salento

Ma gli ulivi, oggi, hanno messo le radici anche sugli stemmi di non pochi Comuni salentini, tra cui ci piace citare Otranto, spiegandone la presenza sul suo vessillo. Nella cittadina più orientale d’Italia, nei pressi del porto, è sita la famosa “Torre del serpe” che prende il nome dal rettile che, secondo la leggenda, prosciugò, giorno dopo giorno, tutto l’olio della lampada in cima, faro per i naviganti. Forse l’immagine dell’ulivo sul gonfalone cittadino vuol ricordare tale leggenda, ma più probabilmente la centralità, in passato, del porto d’Otranto nel commercio dell’olio.

L'”oro verde”, d’altra parte, è il frutto di quelle olive di cui le fronde dell’ulivo sono cariche. Ma questa è un’altra storia, una lunga storia (in Salento si produce olio dal 1300 a.C., come documenterebbero alcuni scavi degli anni novanta a Roca) che merita, sarete d’accordo, un post a parte.

(Per la featured image, ringraziamo Marco su http://www.flickr.com/photos/marco_arnesano/8019601674/)

Chi è Roberta

Creativa, entusiasta, cerco di dare un'impronta personale a tutto quello che faccio. Perciò, quando scrivo di viaggi nel Salento e Puglia, provo a far venire fuori l'anima di questa terra. Svolgo anche attività giornalistica e di docenza in materie letterarie. Info: Sito | Google+ | Tutti i post scritti